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One Berlin Bay: die Teilnahmerei.

La città e lo spleen, legati da un vizioso rapporto dove la causa e l’effetto si confondono.

Vivere come in n enorme labirinto di scatole, porte, portoni, che dividono la nostra vita da quella degli altri, assegnano un fuori e un dentro. Un gioco di incassi, cavità, di entrate e uscite che si regge su di un instabile equilibrio definito in un chissà quando perso nel tempo da una sorta di silenzioso patto collettivo. Fino a dove possiamo invaderci reciprocamente? Fino a dove è nostro lo spazio pubblico?

Il “ragazzo difficile” di questa storia è sicuramente lo spazio aperto-condiviso dove si incrociano sconosciuti dai percorsi imprevedibili, si intrecciano persone, storie e tessuti sociali in una miscela potenzialmente esplosiva.

L’antidoto urbanistico contro questa potenziale detonazione è stato distorcere il concetto di Controllo. Non potendo prevedere il comportamento di chi coabita con noi lo spazio si è creato un vuoto cognitivo che, come tutti i vuoti che si rispettino, è angosciante perché virtualmente deflagrante.  Un vuoto da riempire costruendo luoghi rassicuranti, dai percorsi programmati, luoghi dove dimenticare la nostra identità polemica di cittadini per indossare quella più tranquillizzante di utente, consumatore, automobilista o … A volte ci siamo davvero fatti assalire dall’angoscia arrivando al pleonasmo del muro per separare un esterno dall’altro. Ghetti dove nascondere “il disordine” trasformando un pezzo di spazio in un altrove abitato da uomini invisibili, di cui si può parlare ma che non si vogliono vedere. L’impatto soprattutto simbolico di queste soluzioni è enorme. Il disordine viene politicizzato e si incarna in una percezione di insicurezza che nulla o quasi nulla ha di reale. Una dimensione immateriale cognitiva  tutt’altro che innocua e che anzi si è dimostrata in grado di  produrre effetti estremamente concreti sulla vita delle persone e delle città.

Ma lo spazio è un tessuto fatto di trame, intrecci, testimonianze, per sua natura disordinato, e la città, stratificazione di spazi per eccellenza, non è che l’elogio di questa varietà eterogenea portatrice sana di scompiglio. Non esistono luoghi affidabili o inaffidabili in se stessi: gli spazi si creano, non sono semplicemente dati.

La concezione di spazio per riaffermarsi in maniera sana ha bisogno di riprendersi la sua profondità, rivendicando un eccesso semantico: non più mera estensione ma spazio reso significante dal brulichio umano che in esso si condensa fino a stratificarsi.

Così i luoghi diventano elementi di contatto, anche ludico, impulsi al dialogo e all’incontro (non solo tra persone, ma anche con gli oggetti stimolando la nostra capacità di gioco) per loro natura sempre democratici, fruibili e accessibili. All’homo faber si sostituisce l’homo ludens.

Mi pare fosse stato Baudrillard a dire che per riuscire a far “esplodere” la città c’è bisogno di atti intrinsecamente politici. La lotta per l’esproprio dello spazio è anche la battaglia di Die Teilnahmerei. Un gruppo di pirati e piratesse che dagli angoli dei continenti si sono ritrovati a Berlino, dove hanno innalzato la loro bandiera rendendo ufficialmente il numero 80 di wranglestrasse  un controluogo.

Film, musica e workshop sono all’ordine del giorno. Uno spazio espositivo a disposizione, e il sapere si mette in circolo. La filosofia è ad elevato contenuto partecipativo: accesso libero alle assemblee per la gestione delle attività, intercambio orizzontale di conoscenza.

Le utopie a volte possono anche avere un indirizzo.

(E se non conoscete la Vera Storia della Pirate Utopia di Wilson-il titolo dell’articolo cita la famosa Barateria Bay-, eccola qui wikipediata)

The Street Aesthetic.

Christian Andersen

After the huge attention and feedback I received for the video ‘The Street Aesthetic of New York’, I decided to continue the series and create a new video based on the very cultural and urban city Berlin. The Street Aesthetic of Berlin is the second video in the series, capturing the culture and everyday life of native Berliners. In this short-film I also tried to capture the special urban vibe Berlin have and visualize the aesthetic of Berlin’s street corners, parks, buildings and structure.

I had a chance to go visit one of the greatest cities this summer. Right when I got of the plane and arrived downtown New York, I took my camera and strolled out through the busy streets of New York City. I wanted to capture the great culture and street aesthetic of New York and I think it turned out really well. The video includes recordings from both Manhattan and Brooklyn, where I spend hours capturing the culture and everyday life of native New Yorkers.

The Street Aesthetic of New York City from Christian Andersen on Vimeo.