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Calciomercato

Leggevo l’intervista fatta qualche giorno fa a Sophie Kinsella su Repubblica. Laureata in filosofia a Oxford non ha nessun pudore nello spiattellare la sua mania per lo shopping, e perché dovrebbe visto che poi è quello, e certo non Kant, a renderla invidiabilmente ricca.

La moralina, come si dice in Spagna, è che con la filosofia non si pagano le bollette?

Di questa prima estate romana segnata dal caldo e dagli europei certo mi ricorderò la vittoria contro la Germania. A fine partita sono uscita da casa di un amico a Prati per andare in zona Colosseo, scontrandomi con una catarsi collettiva al limite dell’isteria: sembrava che chiunque fosse uscito per sfogare un’energia alcolica, festosa ed eccitante.  Una reazione che mi ha colto impreparata, non me l’aspettavo, almeno non così. Esageratamente elettrizzati. E lo dico senza nessuno snobismo da donna alle prese con la questione della partita di pallone, io pure mi sono trovata esaltata e felice.

Tra il gusto per lo sbandieramento del vizietto dello shopping compulsivo (da cui non mi sento affatto immune), e la tracotante massa infervorata di giovedì ci vedo un denominatore comune, non mi è del tutto chiaro, ma lo vedo. Come se si fosse tolto il piede dal pedale del freno, abbandonando ogni inibizione. La trasversale mancanza di pudore, una letterata pentita e fanatica dello shopping e un paese in crisi economica che scende in piazza a festeggiare una vittoria provvisoria, non fa che potenziare esponenzialmente l’effetto dopante del superfluo disinibitamente desiderato. Ma come dice bene l’esperto consultato da Repubblica “comprare può funzionare da momentaneo antidepressivo, ma l’effetto dura poco e per stare meglio ecco che ci si lancia in nuovi acquisti.” Parafrasando, la futilità si sconta con un sano senso di colpa.

Forse per uscirne bisognerebbe ammettere la necessità di un po’ di vergogna in più. Recuperare il limite per comprendere le differenze. Quando l’esaltazione viene da qualcosa in cui davvero crediamo la sensazione è tutt’altra, pur sempre momentanea, ma con strascichi e ripercussioni che possono arrivare ad incidere fino al cambiamento, individuale, e forse, in seguito, anche collettivo. Non ci si può appassionare allo shopping per davvero, ci si può riversare dei nervosismi fino a confonderlo con una malsana, inconfessabile e birichina passione. Ma non lo è, è un piacere estemporaneo che degenera in nevrosi al massimo, non è certo una passione. La passione cambia le vite, forgia nuovi costumi, e si spera anche l’identità civica di generazioni.  Ed è bellissima da condividere.

Una delle prime grandi manifestazioni a cui sono andata fu il girotondo del 14 settembre a Roma, avevo 16 anni, e una commozione meravigliosa e virale si diffuse tra migliaia di persone mentre Moretti e Strada dividevano quel palco a San Giovanni. Lo ricorderò forse un po’ meglio della partita contro la Germania. In cui abbiamo giocato benissimo.